La penna e la spada: Brunoro II Zampeschi
Brunoro II è l’ultimo discendente della nobile famiglia guelfa degli Zampeschi, i cui membri tra Quattrocento e Cinquecento, sono stati signori di San Mauro, Montiano, Roncofreddo, Santarcangelo e Forlimpopoli, nonché cittadini ravennati (dove possedevano un palazzo vicino alla basilica di San Vitale).
Nato nel 1540 a Forlimpopoli, da Antonello Zampeschi e Lucrezia Conti, il giovane Brunoro ricevette un’educazione e un’istruzione propria di un appartenente a un casato nobiliare. Nel 1551, alla morte del padre, diventò signore di Forlimpopoli e di altri luoghi, ma il riconoscimento definitivo della sua signoria feudale su queste terre allora appartenenti allo Stato della Chiesa, gli giunse solamente tre anni dopo, da parte di papa Giulio III. A sedici anni sposò Battistina Savelli, figlia di un nobile romano, che durante le assenze del marito, governò Forlimpopoli al suo posto. Come i suoi avi e com’era consuetudine per i nobili dell’epoca, iniziò presto a imparare “il mestiere delle armi”, combattendo nell’esercito pontificio nelle grandi e piccole guerre dell’epoca, durante le quali partecipò anche alla battaglia di San Quintino, tra Spagnoli e Francesi (alleati del papa). Nel 1560 ottenne dal papa il permesso di mettersi al servizio di Venezia, per la quale fu comandante militare della città di Crema e fu così apprezzato, che ricevette il titolo di colonnello e il diritto di circolare nella Serenissima, armato e accompagnato da dodici uomini.
Era un’epoca segnata da numerose guerre e per i condottieri, vi era la possibilità di mettersi in luce, accrescere il proprio patrimonio e la fortuna del casato: nel 1567 si arruolò nell’esercito del duca Emanuele Filiberto di Savoia, con il quale partecipò alle guerre di religione in Francia, combattute dalla reggente Caterina de’ Medici e dal giovane re, contro i protestanti ugonotti. Durante questa campagna, Brunoro si segnalò per valore in battaglia, cosicché il re di Francia lo premiò con l’onorificenza dell’Ordine cavalleresco di San Michele.
Tornato in Italia, ottenne di rientrare al servizio dei Veneziani, che dovevano difendere i loro interessi dal crescente espansionismo dei Turchi: Brunoro fu inviato così in Dalmazia, Albania, Friuli, finché, nel 1573, fu incaricato di recarsi nell’isola di Creta (chiamata “Candia” dai Veneziani) sottoposta alla pressione degli attacchi turchi, per organizzare le truppe locali e rafforzare le difese architettoniche. Lo Zampeschi vi giunse dopo un breve soggiorno nell’isola di Corfù: egli ebbe il titolo di “governatore delle milizie”, era dunque incaricato di organizzare la fanteria e la cavalleria locale, in vista di possibili sbarchi nemici. Dopo un periodo di tre anni nell’isola di Creta, durante i quali si occupò di addestrare soldati, ma anche di ispezionare forti e porti, lo Zampeschi si ammalò e tornò a Forlimpopoli dove morì nel 1578, senza lasciare eredi, cosicché con lui si estinse la casata. La moglie gli fece erigere il monumento funebre nella chiesa di San Rufillo, dove è rappresentato rivestito di armatura e a cavallo, con indosso il prestigioso collare dell’Ordine francese di San Michele. Una parte delle sue armi e un’armatura sono visibili nella collezione di armi antiche “Albicini”, di Forlì. Brunoro II non fu, però, solamente uomo d’armi: infatti, scrisse sonetti d’amore e anche un dialogo, intitolato “L’innamorato”, che è un manuale di comportamento e buone maniere per il giovane nobile o gentiluomo, come andava di moda all’epoca, sul modello dei libri del “Cortegiano” e del “Galateo”. Il titolo è dovuto al fatto che l’autore vuole insegnare ai giovani di sangue blu, come condursi per conquistare l’amore della propria dama, ma l’opera riflette, in generale, gli interessi e i valori dei nobili del Cinquecento, perciò, tratta anche di virtù e onore, di giostre a cavallo, abbigliamento e altro. L’opera è preceduta da numerose poesie di elogio, composte da altri autori, che costituiscono una delle testimonianze degli interessi culturali dell’autore, che annoverava tra i suoi amici, letterati come Torquato Tasso, Girolamo Ruscelli, Girolamo Muzio, Celio Magno e lo storico ravennate Girolamo Rossi, oltre a frequentatori delle accademie letterarie dell’epoca.
Giovanni Manucci
(disegno di P. Novaga)