Itinerario alla scoperta di Pellegrino Artusi, l'illustre gastronomo che con il suo manuale ha per la prima volta unito l’Italia a tavola.
La piazza e le strade di Forlimpopoli, con il loro fascino ottocentesco, parlano ancora il linguaggio della città di Pellegrino Artusi: lo si può riscontrare nei palazzotti borghesi fin de siècle, nelle botteghe diligentemente affacciate sotto i portici, nella dignitosa e civile compostezza degli edifici pubblici, nella dimensione domestica e chiassosa delle bancarelle nei giorni di mercato, nei crocchi di persone che stazionano non solo la domenica mattina davanti alla rocca per la voglia di incontrarsi, di scambiare quattro chiacchiere. Una passeggiata a Forlimpopoli, insomma, è un buon viatico per respirare l’aria di una città che non ha mai dimenticato uno dei suoi cittadini più illustri: quel Pellegrino Artusi che con il suo manuale ha per la prima volta unito l’Italia a tavola.
Durata: 1 ora e 50 minuti
Per informazioni: Ufficio Informazioni Turistiche – +39 0543 749250 – turismo@comune.forlimpopoli.fc.it
Tappa n. 1 - La casa di Pellegrino Artusi (Piazza Garibaldi)
La famiglia di Pellegrino Artusi aveva la sua casa nella piazza principale, con le finestre affacciate verso il monumento principale della città: la rocca. Un portichetto a due arcate in basso e, sopra, un corpo elegantemente slanciato che si distaccava dall’allineamento degli edifici a fianco. In adiacenza si collocava la bottega di famiglia – come scrive l’Artusi, una sorta di “guazzabuglio” dove si vendeva “di tutto un poco”: gomitoli di cotone, cioccolata, colla, sapone, cera, olio d’oliva, zucchero, caffè, pepe, noci moscate, cannella e, ancora, terre minerali, chiodi, vetri, piombo…Purtroppo la casa in cui Pellegrino nacque il 4 agosto 1820, unico maschio dei tredici figli di Agostino Artusi e Teresa Giunchi, non esiste più: nel 1961, quando la locale Proloco celebrava il cinquantenario della morte del grande gastronomo, venne demolita e sostituita da un anonimo edificio destinato a negozi, uffici e appartamenti. Resta solo una lapide a perpetuarne la memoria: 4-8-1820 30-3-1911 PELLEGRINO ARTUSI, INTRODUCENDO LA SCIENZA IN CUCINA CON LE GRAZIE DEL BELLO SCRIVERE NOBILITÒ L’ARTE DEL MANGIAR BENE DI SÉ E DELLA UMANITÀ TESTANDO AI POVERI IN VITA E IN MORTE
BENEMERITO – I FORLIMPOPOLESI 14 SETTEMBRE 1961.
Tappa n. 2 - Teatro Verdi (Piazza Fratti, 7-8)
La notte del 25 gennaio 1851 il teatrino di Forlimpopoli è testimone di una delle gesta più celebri della banda di Stefano Pelloni, detto il Passatore. Durante l’intervallo di una rappresentazione teatrale, una quindicina di briganti salì sul palcoscenico e, all’apertura della tela, si presentò in armi ai notabili e borghesi seduti in platea: chiamati uno a uno essi vennero spogliati di tutto quello che avevano e, nel caso in cui il bottino non fosse ritenuto sufficiente, accompagnati a casa per portar via ogni bene prezioso. Fra le famiglie rapinate in quella notte da tregenda vi fu anche quella di Pellegrino Artusi, la cui sorella, rifugiatasi terrorizzata sul tetto, dovette subire violenza.
All’interno del teatro, una lapide di Olindo Guerrini ricorda ancora il tragico evento, a cui fece seguito la decisione della famiglia Artusi di vendere la casa e la bottega di Forlimpopoli e di trasferirsi a Firenze. Il teatro in cui il Passatore compì la sua impresa più tristemente famosa era stato inaugurato nel 1830 e aveva trovato posto nell’antico salone d’onore della rocca, a stretto contatto con la sede comunale: in esso si svolgevano le attività della locale accademia degli Infiammati e si tenevano le stagioni annuali di musica e prosa. Su progetto dell’architetto bertinorese Giacomo Fabbri, la sala teatrale venne poi ampliata e risistemata “alla moderna” a partire dal 1878, assumendo con la riapertura nel 1882 la classica forma a ferro di cavallo e arricchendosi di due ordini di gallerie sostenute da esili colonnine in ghisa. Intitolato a Giuseppe Verdi, il piccolo teatro di Forlimpopoli è stato completamente restaurato e nel 1982, a cent’anni dalla prima inaugurazione, riconsegnato alla comunità in tutto il suo fascino ottocentesco.
Tappa n. 3 - Casa Artusi (via A. Costa, 27)
È questo il vero e proprio cuore pulsante della città artusiana. Frutto di un complesso e sofisticato restauro, Casa Artusi è nata nel 2007 nell’ambito dell’antico convento dei Servi di Maria, le cui origini affondano nell’epoca d’oro del rinascimento maturo. Sorto nella seconda metà del XV secolo nel luogo in cui si trovavano, fin dal medioevo, l’ospedale e l’oratorio della confraternita dei Battuti Neri, l’organismo conventuale prende la sua forma definitiva nel corso del XVIII secolo. La chiesa, in particolare, a partire dal 1707 assume l’attuale impianto centrale e viene dotata di un imponente tamburo ellittico. Al suo interno, ricco di stucchi e di opere d’arte, si distinguono una preziosa Annunciazione di Marco Palmezzano (1533) e l’organo con le portelle dipinte da Livio Modigliani (1576). Casa Artusi oggi dispone dell’intero complesso monumentale e si articola, nell’ambito di circa 3000 metri quadri, in numerosi spazi con funzioni diverse ma tutte riconducibili alle diverse espressioni della cultura gastronomica. È allo stesso tempo scuola di cucina, ristorante, osteria, enoteca, museo, biblioteca e contenitore di eventi: si tratta, in buona sostanza, della viva espressione della cucina di casa secondo gli insegnamenti di Pellegrino Artusi e della sua Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.
In particolare, nella biblioteca gastronomica al piano terra sono riposti i preziosi arredi della casa fiorentina di Pellegrino Artusi: lo studio e il salotto, compreso la splendida tela “Tiziano che dipinge Venere” (1882) dell’artista Angiolino Romagnoli, unica opera non venduta all’asta e pervenuta alla Città natale.
Si conservano altresì la sua ricercata raccolta di libri di letteratura e gastronomia, il suo straordinario archivio con i testi originali delle prime edizioni del manuale, il manoscritto dell’autobiografia e circa 2000 lettere inviate ad Artusi dagli affezionati lettori e soprattutto lettrici. Fra i documenti emerge un piccolo foglio di carta ingiallito: il telegramma del 1 aprile 1911 che comunica la morte di Artusi, avvenuta 2 giorni prima e la nomina della Citta di Forlimpopoli quale esecutore testamentario. Artusi quindi, pur vissuto sessanta anni a Firenze, non vuole scordare il suo paese natale il quale, soprattutto dalla organizzazione della Festa Artusiana, ha avviato con convinzione un progetto per valorizzarne il pensiero e l’ opera.
Casa Artusi ne rappresenta il punto di eccellenza e anche il tramite indispensabile per conoscere la buona cucina di casa secondo gli insegnamenti del maestro di cui porta orgogliosamente il nome.
Per informazioni e per organizzare visite, incontri ed eventi: Casa Artusi tel. 0543 743138 – info@casartusi.it; www.casartusi.it
Tappa n. 4 - Monumento ad Artusi
Il monumento dedicato a Pellegrino Artusi, dello scultore forlimpopolese Mario Bertozzi, si pone significativamente sulla via Emilia, all’ingresso della città per chi proviene da Forlì. L’opera in bronzo, dai caratteri monumentali, offre un’immagine del maestro così come appare nell’unica fotografia esistente pubblicata nella tredicesima edizione (1909) del suo manuale: alto, impettito, con il volto contrassegnato da imponenti basette granducali che gli coprono il colletto inamidato di una prefettizia d’ordinanza e con un elegante cappello a cilindro da passeggiata domenicale. Mario Bertozzi, l’artista che lo ha eseguito, si definisce “l’ultimo romagnolo” e in tutte le sue opere ha tentato di rappresentare i caratteri peculiari della Romagna più sanguigna ed estroversa, legata alla terra e alle espressioni più genuine del mondo animale, come nei suoi galli e nei suoi tori, potenti e superbi nella loro incontenibile esuberanza e virilità.
Testi di Giordano Conti