Emilio Rosetti, l’ingegnere viaggiatore e la Romagna
Emilio Rosetti e’ l’autore di “Romagna, Geografia e Storia”, il libro che ha posto le basi culturali e scientifiche per la conoscenza di una terra abitata da gente schietta che sa dire pane al pane!
È con quest’opera preziosa che l’idea di Romagna esce dalle diatribe politiche, dalle leggende, dalle interpretazioni faziose per approdare all’oggettività del sapere. Chi si ostina ancora oggi a sostenere che la Romagna sia “un’espressione geografica”, troverà in quelle pagine una confutazione definitiva dei suoi pregiudizi. Perfino l’annosa questione dei confini viene affrontata e risolta con criteri oggettivi. In ” Romagna” ogni romagnolo può ritrovare un pezzo della propria storia personale. Non esiste un paese, per quanto piccolo, un fiume, per quanto ristretto, un monte, un bosco, una strada, un’espressione dialettale, per quanto ostica, che non sia esaminata, descritta, inventariata con la sua intelligenza viva, a tratti sarcastica, meticolosa, pignola. Emilio Rosetti era nato a Forlimpopoli nel 1839. Suo padre, pur proprietario di una fornace, non era facoltoso. La spiccata intelligenza che il ragazzo evidenziò sin dai primi anni di vita, spinse la famiglia a fargli ottenere un’istruzione adeguata, anche grazie al sostegno di istituti di beneficenza locali. Quando si trasferì a Firenze per proseguire gli studi, quindicenne, fu affascinato non solo dai grandi monumenti e dai dipinti rinascimentali, ma anche dalle opere della scienza e della tecnica moderna, in particolare dalle locomotive a vapore, che non si stancava di osservare mentre sbuffavano nella nuova stazione ferroviaria. Attorno a questa fascinazione adolescenziale crebbe in Rosetti la passione che lo segnerà per tutta l’esistenza: la tenace volontà di contribuire al progresso umano con la conoscenza scientifica. Completò infine la sua istruzione a Torino, dove si laureò nel 1864 in matematica pura. Professava idee mazziniane, pur non partecipando direttamente ad attività politiche era repubblicano, anticlericale e poco incline a nascondere i suoi sentimenti. Aveva fiducia, come la gran parte degli intellettuali democratici, che l’umanità avrebbe trovato la salvezza grazie allo sviluppo e alla diffusione del sapere esatto. La natura poteva essere compresa e dominata, se si conoscevano le sue leggi. Terminati gli studi, nell’Italia da poco unificata, il giovane Rosetti accettò l’incarico che il professor Richelmy propose a un gruppo di neo-laureati e partì per l’Argentina; con discreto sollievo delle autorità monarchiche, si può arguire! Dietro a quell’incarico vi era l’interessamento del professor Paolo Mantegazza, punto di riferimento culturale per quanti, Pellegrino Artusi in primis, mal sopportavano il bigottismo angusto dei papalini e auspicavano una società più libera, libertaria e, forse, anche libertina. Quei giovani erano ingegneri, architetti, naturalisti, geologi, storici; intellettuali destinati a lasciare un’impronta profonda nello sviluppo civile del paese sudamericano. Tra loro vi era anche Teodoro Moneta, futuro cognato di Rosetti e, soprattutto, Premio Nobel per la Pace (1907). Gli ideali di quegli uomini intraprendenti e pacifisti sembrarono condannati all’oblio nel nuovo secolo, sconvolto dall’odio e da due guerre terribili, ma rinacquero con la Repubblica Italiana, alla fine di tutte le tragedie finalmente conquistata. L’articolo 11 della nostra Costituzione, che ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie, viene anche dalle idee di Moneta e dalla tenacia del figlio di Emilio, Doro. Rosetti tenne meticolosi resoconti delle sue traversate e dei viaggi; scrisse pagine davvero preziose, rapsodiche, sapide, a tratti picaresche, che contengono innumerevoli notazioni etniche, culturali, storiche, tecniche, e perfino politiche, tanto da costituire un affresco imperdibile della realtà della fine dell’Ottocento. La Fondazione che porta il suo nome sta ora curando la pubblicazione in vari volumi di quegli scritti con il titolo di: “Memorie”. Lui, ingegnere, progettò ferrovie da visionario che salivano i contrafforti delle Ande con spirito indomito, disposte ad arrestarsi, solo dopo aver raccolto i viaggiatori nei villaggi sperduti, di fronte a un altro Oceano. A La Plata costruì una stazione ferroviaria che non avrebbe sfigurato in una capitale europea. Quando ritornò in Patria e si stabilì a Milano, nel 1885, nominato Console d’Argentina in Italia, aveva anche fondato la Facoltà di Ingegneria di Buenos Aires e progettato un numero enorme di altre opere e infrastrutture, svolto incarichi delicati per il Governo locale, ma, soprattutto, aveva allevato con i suoi insegnamenti la prima nidiata di educatori scientifici argentini. In Italia si dedicò agli studi, all’attività ingegneristica, con gli occhi sempre volti alla necessità di emancipare gli italiani. Non si scordò mai della città natale, verso la quale fu prodigo di iniziative, opere e donazioni. Suoi sono i progetti di strade e ponti, tuttora esistenti, che realizzò gratuitamente per quella che considerava sempre la sua comunità, nonostante il suo destino di giramondo. Morì a Milano il 30 gennaio 1908. Una sera, nei primi anni del nuovo secolo, Rosetti apprese che una locomotiva, l’oggetto della sua fascinazione adolescenziale, era deragliata alla Stazione Centrale; da buon ingegnere, spinto dal desiderio di comprendere i motivi della disgrazia, accorse e sfidò imprudentemente il gelo invernale. Il destino volle che la sua straordinaria epopea di stampo risorgimentale, sopravvissuta ai naufragi nell’oceano, ai ghiacci della Terra del Fuoco, alle privazioni patite nelle Pampas, terminasse in modo banalmente borghese a due passi da casa. Non si riebbe dalle conseguenze del freddo sofferto. Riposa nel Cimitero Monumentale della capitale lombarda.
Maurizio Castagnoli